lunedì 1 agosto 2011


L'EMERGENZA
Africa-Lampedusa, la morte in sala macchine
I profughi somali premono alle porte dei campi
Ai cancelli di Dadaab, il campo profughi più grande del mondo in Kenia, ci sono 16 mila persone che non riescono ad entrare per il sovraffollamento. L'inchiesta della magistratura italiana sulla morte dei 25 africani trovati morti nel barcone stracarico di rifugiati a largo di Lampedusa. Laura Boldrini, dell'Unhcr: "Che l'inchiesta accerti subito la verità"
di CARLO CIAVONI

ROMA - A Lampedusa il grido di aiuto che arriva della Somalia, dal Corno d'Africa e dai paesi subsahariani si è spento stanotte per un attimo di fronte all'orrore della scoperta di 25 cadaveri di giovani morti asfissiati per essere stati costretti, a botte e bastonate, nella sala macchine di un barcone stracarico con 300 persone disperate, compresi anche molti bambini di pochi mesi. "Gridavano per uscire dalla botola - hanno raccontato alcuni appena salvi - ma venivano ributtati giù. Chiedevano aiuto perché non avevano ossigeno. Uno di loro è riuscito a uscire ma alcuni uomini lo hanno preso e lo hanno gettato in mare. E' annegato".

Bambini di pochi mesi. Tareke Brhane, mediatore culturale di Save the Children 1 nell'isola siciliana racconta della scorsa nottata e di quel barcone, partito dalla Libia con un carico umano di gente in fuga dalla guerra o dalla carestia. E parla di quei bambini molto piccoli che hanno affrontato il mare e rischiato che quello fosse per loro il primo e ultimo viaggio. "Pochi mesi hanno questi piccoli africani che abbiamo visto. Anche le donne erano molte e molti i nuclei familiari. Dai primi colloqui - ha detto Brhane - abbiamo avuto la consapevolezza della durezza della prova scioccante che avevano appena superato, soprattutto perché tra i morti c'erano amici e conoscenti".

Il diritto alle esequie. L'emergenza del momento, ma forse anche le lunghe procedure dell'identificazione, hanno impedito, almeno per ora, ai parenti delle vittime persino di dare l'ultimo saluto ai loro cari. Un diritto alle esequie negato, insomma, un po' dalla comprensibile concitazione del momento, ma anche da altre ragioni poco comprensibili. Laura Boldrini, portavoce dell'Unhcr 2, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati: "E' necessario che le indagini appena iniziate facciano sapere subito cosa è davvero accaduto a bordo di quella barca. Dalle prime ricostruzioni - ha aggiunto - sembra che durante il viaggio ci siano state molte tensioni, dovute ad un sovraffollamento inverosimile, che conferma una volta di più come le persone che ruotano attorno al business dei viaggi sulla rotta Africa-Europa non abbiano scrupoli nel imporre condizioni di vita infernali durante il trasferimento in mare".

MSF sull'isola. "La situazione si è rivelata particolarmente drammatica: mentre le motovedette portavano in salvo i primi migranti, ha cominciato a diffondersi la notizia che sull'imbarcazione erano stati trovati alcuni morti", dichiara Andrea Ciocca, coordinatore del progetto di Medici Senza Frontiere 3 a Lampedusa, che ha assistito allo sbarco di stanotte "Molti dei 271 migranti (213 uomini, 21 donne e 34 bambini) soccorsi sull'isola sono ancora sotto shock, disidratati e provati da un viaggio di circa due giorni in condizioni estreme, senza cibo e con pochissima acqua". A Lampedusa, MSF è presente con un team di medici, infermieri e mediatori culturali. Contribuisce alla prima assistenza dei pazienti al molo e ne segue poi le condizioni mediche all'interno dei centri dell'isola. Tra febbraio e luglio, MSF ha assistito quasi 19mila persone fuggite dalla Libia. Le attività di MSF a Lampedusa sono finanziate da donatori privati e l'organizzazione non riceve fondi istituzionali da parte del Governo italiano.

Fuga dalle bombe in Libia. Sulla barca avevano preso posto anche una decina di adolescenti non accompagnati, con i quali ora sono in corso i colloqui necessari per conoscerne la storia e stabilire il loro immediato futuro. "Adesso è necessario che riposino - ha aggiunto il mediatore di Save the Children - e avere un minimo di ristoro dopo un viaggio terribile, durante il quale hanno visto la morte e dopo essersi lasciati alle spalle un paese in guerra. Alcuni di loro ci hanno raccontato che i bombardamenti rendono sempre più difficile rimanere in Libia, ma anche partire e raggiungere i porti".

Kenia, a Dadaad non si riesce ad entrare . Ai cancelli del campo profughi di Dadaab, in Kenia, una massa umana scampata alla carestia non riesce ad entrare per i ritardi nella registrazione. Così vivono all'aperto nella sterpaglia o in ripari di fortuna. E' quanto denuncia Save the Children. Secondo l'organizzazione, il numero dei rifugiati in fuga dalla Somalia è cosi alto da rendere ancor più complicato il lavoro di identificazione. Il problema nasce dalla carenza di personale, che il governo keniano - al momento - non sembra in grado di fornire. "Tutti i bambini che fuggono la fame e la guerra in Somalia - ha affermato il capo di Save the Children in Kenya, Prasant Naik - arrivano esausti. Dobbiamo fare di più per loro invece di costringerli a vivere tra le erbacce". Il campo profughi di Dabaad è il più grande del mondo. Costruito per una capacità di 90mila persone ne ospita oltre 400mila in maggioranza somali.

Il ponte aereo prosegue. Intanto, un nuovo volo del Programma Alimentare Mondiale (Pam 4) con 10 tonnellate di aiuti alimentari è arrivato oggi a Mogadiscio, mentre l'Unicef 5 ha avviato una campagna di vaccinazione contro la poliomielite e il morbillo nel campo profughi Dadaab, in Kenya. Si contano ormai a milioni - ed è persino difficile quantificarli esattamente - le persone colpite da carestia e siccità nell'intera area del Corno d'Africa, che hanno immediato bisogno di tutto, un'emergenza alla quale Le organizzazioni umanitarie cercano di dare risposte. Il volo del Pam è arrivato oggi nella capitale somala con tonnellate di prodotti per bambini malnutriti. L'agenzia Onu sta anche cercando di accelerare le procedure per distribuire gli aiuti alimentari a Dollow, nel sud del paese, vicino alla frontiera con il kenya, la stessa controllata dalle milizie di Al Shabaab e dove più inesorabile è la carestia. "Un aereo è arrivato oggi, il sesto dall'inizio del ponte aereo, cominciato mercoledì - ha detto alla un portavoce del Pam, David Orr, a Mogadiscio - il ponte aereo è in corso e andrà avanti. Con il carico odierno siamo a 80 tonnellate di aiuti alimentari arrivati nella capitale somala per i bambini malnutriti".

Dove è impossibile allestire luoghi per rifugiati. Dalla comunità somala in Italia è stato chiesto più volte perché i campi di accoglienza per chi fugge dal loro paese siano stati allestiti in Etiopia e Kenia e non all'interno dei confini del loro Paese. La risposta che viene fornita da Laura Boldrini a questo proposito è che "Sarebbe giusto e logico che i luoghi per i rifugiati restassero nei confini della Somalia, ma al momento non esistono le condizioni di sicurezza dove sarebbe utile allestirli".

Mortalità come nel 1992. Intanto si appresnde che Il tasso di mortalità e il livello di malnutrizione in Somalia sono comparabili con quelli del 1992, quando morirono circa 250 mila persone". E' quanto si legge nel primo rapporto sulla situazione della carestia in Somalia, di Caritas Somalia 6. "La già grave siccità è stata resa tragica dal conflitto interno e dall'assenza di uno Stato credibile. E' una situazione gravissima anche perché le associazioni cattoliche non hanno accesso in gran parte dei territori, ma questa mattina abbiamo allacciato alcuni rapporti con alcune Ong mussulmane". E' quanto ha detto il presidente di Caritas Somalia, mons. Giorgio Bertin. "Un quarto della popolazione della Somalia è sfollato - riferisce il rapporto - e percorrono grandi distanze a piedi, a dorso di mulo o impiegando i loro ultimi risparmi per ottenere un passaggio su camion sovraffollati".

La Francia aumenta gli aiuti. La Francia ha deciso di portare da 10 a 30 milioni di euro i suoi aiuti per l'emergenza carestia nel Corno d'Africa. Lo ha reso noto oggi la portavoce del governo, Valerie Pecresse, ricordando che Parigi aveva già raddoppiato il suo contributo lo scorso luglio per i Paesi africani colpiti dalla crisi alimentare e sottolineando la volontà della Francia di impegnarsi di più. La decisione di triplicare gli aiuti per il Corno d'Africa è stata annunciata stamani dal presidente francese Nicolas Sarkozy durante il Consiglio dei ministri.



(01 agosto 2011) © Riproduzione riservata


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L’Italia li rinchiude un anno e mezzo nei Cie

Scritto da Redazione | Diritto di critica
il 20 giugno 2011 in Politica / Società

Scritto per noi da Andrea Onori

I Centri di identificazione ed espulsione (Cie) tornano a far parlare di sé. Nonostante da quel lontano 8 Agosto del 2009 (entrata in vigore del “pacchetto sicurezza”) non abbiano mai smesso di agitarsi. Sono due anni che ogni giorno proteste, scioperi, gesti di autolesionismo, rivolte, incendi e fughe divampano nel bel mezzo dell’indifferenza più assordante.

Venerdì scorso, l’ennesimo episodio di tensione all'interno del Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria (Roma). Alcuni migranti rinchiusi all’interno della struttura, hanno incendiato le stanze servendosi dei suppellettili e materassi. La protesta è partita dal settore maschile. Dopo un scontro frontale con le forze dell’ordine, il risultato è di qualche ferito tra i migranti e ingenti danni registrati alla struttura.

Il detonatore che avrebbe fatto scoppiare la rivolta sarebbe lo stesso motivo di due anni fa, quando Maroni varò il “pacchetto sicurezza” allungando la permanenza nei Cie da 60 a 180 giorni. Ora, un migrante potrebbe restare trattenuto addirittura fino a 18 mesi.“Con l’aumento dei tempi di permanenza nei CIE si compie il passo definitivo per trasformare strutture, inizialmente pensate per una permanenza massima di 60 giorni, in luoghi in cui cittadini stranieri, pur non avendo commesso alcun reato, nemmeno quello di clandestinità, così come sancito dall’Unione Europea, sono costretti per un anno e mezzo a vivere in carceri lager» dichiara il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni.

Il Garante si dice indignato e addolorato per come il governo sta affrontando il problema delle politiche migratorie “In questa decisione del Governo, fortemente criticata anche dal mondo cattolico e dal volontariato, non si tiene in considerazione in primo luogo la sofferenza e la dignità di migliaia di persone disperate, a cui nonostante la sensibilità e l’attenzione delle forze dell’ordine e degli operatori che gestiscono i Centri, oggettivamente non è possibile garantire i diritti fondamentali”. Angiolo Marrioni ci conferma che le condizioni di vita all’interno dei centri sono inverosimili e ora, con i tempi che diventeranno più lunghi, la situazione potrà solo peggiorare o addirittura esplodere. “Non è questa un’operazione degna di un Paese civile come il nostro - continua il garante - trasformare dei disperati in detenuti senza diritti, senza assistenza e senza garanzie”.

Per il monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes allungare i tempi di trattenimento dei Cie, “che non sono un luogo dove le persone vengono tutelate, significa esasperare maggiormente la situazione. Sappiamo che i Centri di Identificazione ed Espulsione sono un luogo di grande conflittualità, di violenza, di autolesionismo, perchè la persona non è tutelata”.

Cosa sono i Cie
Celle, filo spinato, vigilanze, forze dell’ordine, abbandono, sporcizia, freddo estremo d’inverno e troppo caldo d’estate. E poi ancora: violenza fisica e morale, autolesionismo, fughe e indifferenza. E’ questo ciò che troviamo dentro quei recinti per esseri umani.
Il 23 maggio del 2008 il Ministro Maroni cambiò nome a queste strutture nonostante il suo fine sia stato sempre lo stesso. In precedenza usava la parola “permanenza” (Centro Permanenza Temporanea), quasi a significare che fosse un soggiorno. Come se i migranti accolti nelle celle avessero un trattamento privilegiato. Invece, oggi ci troviamo davanti ad un progetto diretto di “identificazione ed espulsione” (CIE). Comunque si vogliano chiamare queste strutture, non sono altro che luoghi di detenzione adibiti per immigrati senza permesso di soggiorno. Sono veri e propri centri di reclusione dove gli “irregolari” vengono ammassati per lunghi mesi. Una sospensione della vita.

Nei Cie è praticamente negato l’accesso alle organizzazioni non governative e a tutti gli enti di tutela, a eccezione dell’UNHCR e della Caritas che sono comunque tenuti a presentare formale richiesta di autorizzazione. Anche giornalisti e parlamentari hanno spesso visto chiudersi la porta in faccia. Soprattutto in questi ultimi mesi, quando con una circolare silenziosa lanciata nel mese di aprile, si vietava alla stampa l’ingresso nei Cie e nei Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara). Il pretesto per varare in poco tempo questa direttiva è lo stato di emergenza per gli sbarchi.

Amnesty International nel suo rapporto annuale del 2010, denunciava che “troppe volte i detenuti sono sistemati in container (come succede permanentemente a Torino) e in altri tipi di alloggi inadeguati a un soggiorno prolungato, esposti a temperature estreme, in condizioni di sovraffollamento. Alcuni centri hanno uno spazio aperto troppo ristretto, quando non manca del tutto”. Un altro comunicato di Amnesty parlava di condizioni igieniche carenti, cibo scadente e soprattutto di mancate forniture di vestiti puliti, biancheria, lenzuola.

Esprimono preoccupazione anche Medici Senza frontiere che chiedono “la chiusura di due centri dove abbiamo riscontrato condizioni di detenzione intollerabili”. Si tratta dei centri siciliani di Kinisia e Palazzo San Gervasio. “Le persone dormono dentro tende e i servizi medici sono insufficienti - dice l’associazione - A Kinisia manca l’elettricità e l’accesso all’acqua è saltuario”. In due precedenti rapporti (2004-2010), Medici Senza frontiere, aveva denunciato le “conseguenze disastrose” sulla salute fisica e mentale delle condizioni di detenzione dei Cie di tutta l’Italia.



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