LA MEMORIA DEI MIGRANTI
Che il 16 aprile diventi il giorno del ricordo degli immigrati
morti in mare. Un percorso inaugurato a Roma da un'associazione,
attraverso un laboratorio di poesia e pittura.
Lo sai?
Quanti perdono la vita nel viaggio verso la speranza?
Quanti perdono la vita per sete nel Sahara?
Quanti perdono la vita per un secondo di terremoto?
Quanti perdono la vita per il viaggio della vita?
Quanti perdono la vita tra le due sponde immaginarie?
Quanti perdono la vita per un sogno irraggiungibile?
Quanti perdono la vita per una realtà che non è la tua
e che, quando sei dentro, è troppo tardi per andare via?
Quanti perdono la vita nell'indifferenza ?
Quanti perdono la vita e nessuno lo sa?
Quanti perdono la vita e nessuno si ricorda?
È una delle tante poesie scritte dai ragazzi rifugiati che frequentano le lezioni di italiano offerte all'associazione "Asinitas Onlus", che gestisce centri interculturali per immigrati a Roma.
Il 16 aprile, assieme a tanti amici, quali il prof. Sandro Triulzi, dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli, e Goffredo Fofi, critico letterario, teatrale e cinematografico, questi ragazzi hanno commemorato i morti in mare, le stragi quotidiane nel Mediterraneo, le tante morti di persone che, come loro, hanno solo cercato di migliorare la propria vita.
Gli autori della poesia sono due ragazzi di 19-20 anni. Si chiamano Abubaker e Hassan. Sono entrambi somali e entrambi nati durante la guerra civile. Dalla nascita non hanno visto che massacri e sperimentato dolore e disperazione.
Sono giovani volenterosi e amano la loro patria. Quando la descrivono, però, dicono: «Sai quando esci di casa, ma non sai se vi tornerai la sera». Il padre di Abubaker è morto così: freddato da un cecchino, mentre tornava a casa.
Parlano della situazione d'insicurezza che regna in Somalia. Ma aggiungono: «Eppure, nonostante tutto, il
paese tira avanti. È come essere in un'arancia: in uno spicchio c'è la guerra; in un altro non c'è ancora, e allora fai le cose di tutti i giorni, come la spesa al mercato; in un altro ancora, invece, c'è una scuola autogestita che funziona; in un quarto spicchio puoi addirittura trovare un lavoro saltuario... Il giorno dopo, però, il panorama cambia. Nello spicchio dove potevi ancora fare la spesa scoppia la guerra, e in quella in cui si sparava fino al giorno prima, si apre una scuola autogestita».
Abubaker, Hassan, Farhan, Graad, Jamal, Idris... raccontano un paradosso possibile: «La Somalia, di fatto, non è più un paese, ma un sistema illiberale, dove tutto ciò che era garantito dallo stato viene assicurato dai privati». I loro compagni nella Scuola Asinitas di Via Ostiense li capiscono perfettamente. Anche loro vengono da conflitti dimenticati o marginalizzati. Sono studenti e studentesse afghani, curdi, congolesi, sudanesi, etiopi, eritrei e, naturalmente, somali.
Lo stato italiano garantisce loro lo status di rifugiato. Hanno quasi tutti il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ma non sono ancora "inseriti" e "accolti". Una volta che hanno ottenuto i documenti, vengono cacciati dai centri di prima accoglienza e molti di loro non sanno dove sbattere la testa. Ma, si sa, i centri devono essere liberati al più presto: ci sono altri rifugiati che aspettano. Attorno a questi disperati c'è un costante flusso di denaro. È un business anche questo. Che tristezza! I ragazzi però non accettano più questo stato di cose. Cantano, raccontano, scrivono...
Certo, oggi la loro voce è ancora flebile. Il fardello da sostenere è pesante.
Eppure, il 16 aprile è cominciato un percorso comune: Hassan ha proposto ai suoi insegnanti di scegliere il 16 aprile come "giornata della memoria" per i morti in mare.
Ogni anno, una commemorazione il 16 aprile.
Per non dimenticare.
da l'Unità 5 febbraio 2010
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Permesso di soggiorno impossibile, appello per il ripristino della legalità
La legge sull’immigrazione Bossi-Fini sancisce espressamente un tempo per il rilascio dei permessi di soggiorno agli immigrati: venti giorni. Invece a tutt’oggi quel termine è costantemente disatteso da parte, con grave danno per il cittadino migrante che attende quel pezzo di carta.
L’Unità aderisce quindi all’appello dell’associazione Migrare sul ripristino della legalità sui tempi dei permesso di soggiorno e sottoscrive la petizione.
- Chiediamo al Governo italiano ed al Ministro Roberto Maroni di rispettare il termine di venti giorni fissato nel Decreto Legislativo n. 286/1998 (Testo Unico dell'Immigrazione così come modificato ed integrato dalla Legge Bossi-Fini n. 189/2002) per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno agli immigrati.
- Stigmatizziamo che, attualmente, siano necessari dai sette ai quindici mesi e che la procedura preveda che l'immigrato, nell'attesa, disponga solo di un cedolino che non ha le caratteristiche per essere univocamente riconosciuto come documento sostitutivo del permesso di soggiorno.
- Segnaliamo che il possesso di quel semplice cedolino è motivo di abusi contro gli immigrati che si vedono ridotti, di fatto, i pur limitati diritti di cui godono in Italia.
- Sollecitiamo affinché, da subito e come misura d'urgenza, venga modificata la procedura nel senso che l'immigrato possa disporre del permesso di soggiorno, anche durante il periodo del suo rinnovo, mediante l'apposizione di un timbro che ne attesti la validità oltre la scadenza legale e sino alla sua sostituzione con il documento nuovo. - Invitiamo al più celere smaltimento dell'arretrato di circa un milione di pratiche attualmente nelle mani dello Stato.".
02 febbraio 2010Vedi tutti gli articoli della sezione "Italia"
http://vimeo.com/8812128
I rifugiati non muoiono più in mare ma nel Sahara
Articolo di Politica estera, pubblicato venerdì 15 gennaio 2010 in Olanda.
[NOS]
I migranti africani che vogliono raggiungere l’isola italiana di Lampedusa vengono attualmente bloccati da un accordo italo-libico, fatto per fermare i profughi.
L’accordo funziona e ha il suo drammatico rovescio della medaglia nel Sahara, a Sud della Libia.
Lo dimostrano le immagini scioccanti che il settimanale italiano L’Espresso ha pubblicato ieri, sotto il titolo “Morire nel deserto” .
Undici corpi disidratati giacciono sulla sabbia del deserto: sette uomini neri e quattro donne. Uno è inginocchiato in preghiera, un altro solleva le mani verso il cielo, come se volesse afferrare l’aria.
Queste persone morte di sete avrebbero viaggiato a piedi. Indossano indumenti libici, il che indica che non andavano verso la Libia, ma venivano da lì.
Immagini verificate
Il video è stato ripreso il 16 marzo 2009 con un telefonino, da un viaggiatore diretto da Al Gatrun, l’ultima oasi libica, al fortino militare di Madama nel Niger. Il settimanale ha ricevuto il filmato la scorsa estate e ne ha verificato l’autenticità prima di pubblicarlo.
“Così muoiono gli uomini e le donne che non sbarcano più nell’isola italiana di Lampedusa”, conclude il giornalista Fabrizio Gatti dell’Espresso, che in passato ha fatto dei servizi lungo questa rotta del traffico di clandestini. Bloccati dall’accordo tra il premier italiano Silvio Berlusconi e il leader libico Moammar Gheddafi gli immigranti africani vengono sempre più spesso rispediti in Niger.
Dispersi
I soldati libici li portano al confine con il Niger e li abbandonano sulla sabbia bollente. Da lì bisogna camminare per 80 chilometri prima di arrivare alla prima base militare in Niger, il fortino di Madama. Non esiste una strada, bisogna orientarsi con il sole e le stelle. Per chi si perde non c’è speranza.
Due settimane prima della ripresa del video, il premier italiano è stato in visita da Gheddafi. Ha porto le sue scuse per l’occupazione coloniale italiana in Libia, garantito 5 miliardi di dollari di risarcimento da pagare in 20 anni, fatto accordi su gas e petrolio e anche sul pattugliamento congiunto delle coste libiche per impedire la partenza dei migranti verso Lampedusa.
In quell’occasione, Gheddafi ha dimostrato la sua buona volontà rispedendo verso il Niger centinaia di migranti richiusi nell’accampamento militare di Al Gatrun. È possibile, così conclude L’Espresso, che i cadaveri del filmato facessero parte di quel gruppo.
Responsabilità
In risposta alle immagini, che ieri sono state trasmesse anche dal programma televisivo Annozero, il capofrazione del partito di governo Lega Nord, Roberto Cota, ha detto che l’Italia non può essere ritenuta responsabile per le problematiche dell’immigrazione, ma che queste sono una questione europea.
Ha affermato che l’accordo con la Libia è un successo, giacchè l’immigrazione è diminuita del 90%. “In questo modo abbiamo fatto diminuire le morti in mare.
[Articolo originale "Vluchtelingen sterven niet meer op zee, maar in Sahara" di Bas Mesters]
http://italiadallestero.info/archives/8745
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Enrico Rossi: «Sì ai Centri di identificazione ed espulsione per gli stranieri»
Postato venerdì 15 gennaio 2010 e inserito in Apertura, Diritti, Istituzioni totali, Migranti, Politica, Sicurezza. Puoi seguire i commenti a questo articolo attraverso i feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.
Chi non conoscesse la realtà dei CIE legga questa inchiesta di Fabrizio Gatti pubblicata sull’Espresso.
di Agata Finocchiaro
Un centro di identificazione
Sì al Cie, con molti se e molti ma. È la posizione espressa ieri dal candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione Enrico Rossi, nel corso della tappa elettorale pratese. E non solo: Rossi ha chiesto un accordo Italia-Cina per regolare i flussi di immigrati.
Da Prato, divenuta simbolo della crisi del manifatturiero e della débacle del centrosinistra, che a giugno scorso, per la prima volta dopo 63 anni, ha perso le amministrative, è partito il tour elettorale di Rossi, dopo la «prima» a Pisa. «Non siamo contrari ai centri di identificazione ed espulsione — ha precisato Rossi — purché vengano rispettati i criteri di umanità e di accoglienza. Se ci presenteranno una richiesta ufficiale siamo pronti a discuterne, altrimenti vuol dire che nemmeno dall’altra parte c’è una reale volontà». Ma chi dovrebbe presentare la richiesta di istituire un Cie? «Se il sindaco Cenni è davvero favorevole al centro immigrati ne discuta con Maroni, che presto sarà a Prato per la firma del nuovo Patto per la sicurezza».
Più che una tappa elettorale, un tour de force quello di Rossi, che tra mercoledì e ieri ha incontrato il prefetto, il presidente della Provincia, il sindaco di Prato e quelli dei sei comuni della provincia, i segretari dei sindacati confederali e i rappresentanti di industriali, commercianti e artigiani. Non per parlare di programma elettorale ma per raccogliere le loro istanze. Al centro del carnet de doléances il problema dell’immigrazione e del lavoro. «Non basta la lotta all’illegalità — sottolinea Rossi — se non si rimuovono le cause. Il nostro governo dovrebbe stipulare un accordo con la Cina, come ha fatto con la Libia. Se sarò eletto lo chiederò tutti i giorni e non mi accontenterò di sentir rispondere che la Cina non riesce a controllare i flussi migratori, perché sappiamo bene che controlla ogni singola cosa che esce dai suoi confini».
Enrico Rossi, candidato presidente del centro-sinistra toscano
«La realtà di Prato è una realtà molto problematica — aggiunge — Il numero di clandestini cinesi è stupefacente ed è doverosa l’integrazione: si può favorire l’incontro fra la domanda di materie tessili dei confezionisti cinesi e i produttori pratesi di filati e tessuti». Per combattere la contraffazione del made in Italy, Rossi ha poi lanciato la proposta di costituire, d’intesa con la guardia di finanza, un laboratorio che testi l’origine e la composizione dei prodotti cinesi e valuti il grado di pericolosità per la salute. Infine, la bocciatura al tetto del 30% di stranieri nelle aule scolastiche, annunciato dal ministro Gelmini. «Come si può applicare un provvedimento del genere in una città in cui ogni anno il 37% dei bambini nati in ospedale è figlio di immigrati? Si tratta — conclude l’assessore-candidato — di una misura adottata negli anni Settanta negli Stati Uniti e già fallita».
Per il coordinatore provinciale del Pdl Riccardo Mazzoni, «la visita di Rossi, sembra quella di Alice nel Paese delle meraviglie, improvvisamente esiste un problema cinese. Il Pd toscano dovrebbe sconfessare le posizioni dei dirigenti nazionali contro la politica dei respingimenti e la legge sull’immigrazione voluta dal governatore uscente Martini».
[Fonte Corriere Fiorentino]
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