mercoledì 30 dicembre 2009

L' altra faccia del salotto buono,


CLANDESTINI: DENUNCIA DEL GARANTE DEI DETENUTI DI VIZIO ALLA LEGGE DI RIMPATRIOCondividi
Oggi alle 10.10

MOVIMENTO FRONTE DEL POPOLO.
CLANDESTINI: DENUNCIA DEL GARANTE DEI DETENUTI DI VIZIO ALLA LEGGE DI RIMPATRIO
Khadim stava tornando in Senegal ma è stato arrestato per non aver lasciato l'Italia.
ROMA - «Dopo otto anni da clandestino in Italia, aveva deciso di tornare a casa sua, in Senegal, acquistando di tasca propria un biglietto aereo. Ma, secondo le leggi dello Stato, potrà tornare in Patria solo da espulso, fra sette mesi, e per di più a spese della collettività». Questa la storia di Khadim, cittadino senegalese di 41 anni, denunciata dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni.

LA STORIA DI KHADIM - «Giunto in Italia otto anni fa dal Senegal, Khadim ha vissuto e lavorato a Napoli senza essere messo in regola, perché il permesso di soggiorno non lo ha mai avuto. Non ha mai commesso reati e ha tentato di costruirsi una vita sociale. Ma nonostante questo, Khadim viene raggiunto da diversi decreti di espulsione che portano alla condanna di sette mesi di reclusione, senza che lui ne abbia mai conoscenza. Quando decide di tornare in Senegal e viene aiutato dagli amici italiani a comprare il biglietto dell'aereo, è arrestato all'aeroporto di Fiumicino e trasferito al carcere di Civitavecchia. Qui deve scontare la condanna a sette mesi per non aver ottemperato ad una espulsione che, per altro, stava volontariamente eseguendo. In carcere Khadim chiede l'espulsione come misura alternativa (misura prevista per diversi reati con condanna sotto i due anni) sperando di porre fine a questa sfortunata avventura. Ma la sua istanza viene respinta dai magistrati sul presupposto che, per la "Bossi-Fini", questo tipo di misura alternativa non può essere concessa a chi non ha ottemperato all'espulsione».

ACCANIMENTO CONTRO GLI STRANIERI - «In sostanza - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - Khadim che stava lasciando l'Italia è ora recluso in un carcere per non aver lasciato il nostro paese. Dal carcere ha fatto richiesta per lasciare l'Italia ma non gli è consentito perché deve scontare una pena per non aver lasciato l'Italia. Quella che denunciamo sembra una storia senza senso ma è la realtà di una legislazione che, in tema di immigrazione, fra carcere e C.I.E., sembra accanirsi contro i cittadini stranieri fino a prevedere inutili pene afflittive ed ulteriore sofferenza. Forse sarebbe necessario studiare maggiormente gli effetti pratici di alcune leggi, per evitare, ancora una volta, di risolvere un fenomeno di rilevanza sociale ed economica come l'immigrazione facendo ricorso al carcere».
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di MORGANTINI

“La civiltà è quella cosa per cui una sedia viene impagliata, sopra e sotto, con ugual cura”.
PANE E ALFABETO, PANE E COSTITUZIONE,PER LA DIGNITA' DEGLI ULTIMI 6 GENNAIO 2009 ORE 10 PIAZZA NETTUNO BOLOGNA

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Africa dimenticata..... Africa dilaniata .

Ma c'è la mia Africa di Gloria Gaetano


A quelli che non conservano memoria di quegli anni.
Dove sono finite tutte le lotte , tutte le idee, gli entusiasmi,
le liberazioni di quegli anni. Dove è andato quel mondo
di intellettuali,poeti,uomini politici? Ma noi dimentichiamo
troppo facilmente,ingoiati da immagini dachiacchiere tv, che
non ci dicono nulla sulla storia. Un mondo emergente, un
altro in movimento.Qualcosa si sarà fatto di sbagliato…

Ma quante idee si muovono in certi periodi, quante energie
si sprigionano,quanta libertà sta per venir fuori, quella
libertàdi cui parla Fayad Jamis e tanti tanti altri…
Voglio che siano ricordati. Ho ripreso una vecchia antologia
e voglio dire com’erano e chi erano: Agostino Neto, poeta
in lingua portoghese e uomo politico dello Zaire .
Jomo kenyatta, che scrisse di rapporti tra la popolazione
KIKUYU e gli europei .
Il grande Leopold Sédar Senghor, Presidente de Senegal,
e l'immenso poeta Richard Rive, che scrive dell’apartheid
in Sudafrica.
Il poeta Michel Dei-Anang che scrisse inni all’Africa,
Malcolm X americano, che si battè per i diritti dei negri,
di cuisi ricorda qualcosa perché su di lui è stato girato
un film.Miguel Asturias , che ci parla del Guatemala e
della civiltà Maya.
Josuè de Castro, Helder Camara,Patrice Lumumba , presidente
e capo della rivolta contro i Belgi, ucciso in circostanze
misteriose.




Che fine hanno fatto tutti?
No, non dormono sulla collina,
ricordati da noi, che adesso
vediamo un’Africa sconvolta
con lotte tribali, fomentate
dai servizi segreti e dai
venditori d’armi. Abbiamo
perso memoria di loro e di
tanti altri, che mi sforzerò
di riportare alla vostra
memoria,insieme ad altri
che ho dimenticato.



Ogni rivoluzione, ogni grande moto di popolo libera delle energie,
delle idee, esprime degli intellettuali e dei politici, anche se
poi vengono fatti morire, anche nella storia, con la dimenticanza
e con parziali racconti storici.


Qualche volta bisogna avere il coraggio di essere partigiani.
No, non per tornare indietro, ma per andare avanti, verso un
mondo di uguali, da cui partirà per la veria storia, la vera
civiltà.


Bisogna conservare il
senso di una Storia
vissuta come identità,
ma anche come lente
per una visione della
vita che è appartenenza
nella condivisione, nello
scambio, fuori dagli
schemi di una improduttiva erudizione. La storia è la sola
che può aiutarci a gestire i nostri giorni,a capire quali
sono le domande che bisogna formulare, per trovare per avere,
..per pretendere le risposte che occorrono per affrontare e
risolvere i problemi del nostro presente, per costruire un futuro
meno incerto e drammatico per tutti e in particolare per i giovani,
i nostri figli, e tutti coloro che verranno.

Si parla sempre
dell'Occidente, ma c'è
un mondo vastissimo e
poverissimo,l'Africa
e tutto il Medioriente
ormai distrutto dalle
guerre. Non si può
salvare solouna parte
piccolissima del mondo.
Alla fine questo mondo di
disperati ci travolgerà.

Non riuscirete a ucciderli tutti e a creare una barriera,
muri, cerchi di fuoco intorno ad esso. E non è giusto
che una parte enorme del genereumano venga distrutta.
Sappiamo che non esistono isole felici.Non devono
esistere dannati della terra.

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In 300 digiunano per il permesso di soggiorno

- Leo Lancari-- Oggi alle 3.15

Ad essere illegale questa volta è proprio il ministero degli Interni, che però non sembra preoccuparsi più di tanto di non rispettare quelle regole che lui stesso dovrebbe garantire. E così, per ripristinare la legalità (come dovrebbe dire Maroni) ma soprattutto per far rispettare un loro diritto, da 18 giorni hanno messo in atto uno sciopero della fame. Sono ormai 300 gli immigrati che hanno aderito all'iniziativa lanciata il 13 dicembre scorso da Gaousoou Ouattara, esponente del Partito radicale, per protestare contro i ritardi con cui agli stranieri regolari presenti nel nostro paese viene rinnovato il permesso di soggiorno. «Il testo unico sull’immigrazione prevede che il permesso sia rilasciato entro venti giorni dalla domanda - ha spiegato ieri Ouattara, insieme al segretario del Pr Marco Staderini e alla parlamentare Rita Bernardini -. Oggi invece si devono aspettare dai 7 ai 13 mesi». Una situazione che riguarderebbe almeno 500 mila persone e per risolvere la quale i radicali hanno chiesto di poter incontrare Maroni e promosso un sit-in per il 1° gennaio, alle ore 15 in piazza della Repubblica a Roma. Allo stesso tempo hanno anche invitato avvocati volontari ad assistere quanti hanno presentato richieste di risarcimento danni, in deroga alla legge.
Non si tratta, naturalmente, di una semplice questione burocratica. Il ritardo di mesi con cui vengono rinnovati i permessi di soggiorno provoca infatti dei veri terremoti nella vita di tutti i giorni degli immigrati. Senza permesso di soggiorno, infatti, oltre a non poter lasciare l’Italia, diventa impossibile firmare un contratto di lavoro, ma anche affittare una casa o semplicemente iscrivere i propri figli a scuola. E poco importa se una circolare emessa dal precedente governo Prodi riconosca come valido il cedolino che certifica l’avvenuta presentazione della domanda di rinnovo del permesso. «Si tratta di un’informazione che non conosce nessuno, e quindi la vita di queste persone si blocca», spiega Staderini. «Come se non bastasse, spesso il nuovo permesso di soggiorno arriva talmente in ritardo da essere praticamente scaduto di nuovo, così per l’immigrato oltre al danno si aggiunge la beffa di dover pagare di nuovo 75 euro per il rinnovo».
Uno degli effetti di questa situazione si è avuto lo scorso Natale. Molte delle badanti interessate dalla recente regolarizzazione non sono tornate a casa perché per la prima volta il governo non ha emesso una circolare transitoria che garantisse loro il rientro in Italia». «Vogliamo gridare al mondo la nostra rabbia che è carica di speranza - ha detto Ouattara. Questo è il paese in cui abbiamo scelto di vivere. Qui sono nati i nostri figli, al terra dei Balotelli. Vogliamo vivere nella legalità».
Per mettere fine a questo stato di cose, i radicali chiedono a Maroni tre cose: «Come intende mettersi in regola facendo rispettare i tempi per la concessione del permesso di soggiorno - prosegue Staderini -. Ma anche cosa pensa di fare per smaltire tutte le domande arretrate e, infine, di mettere in campo una campagna informativa per far sapere agli italiani che gli immigrati hanno dei diritti che vanno rispettati, anche se sono in una fase di rinnovo del permesso di soggiorno. Una questione nella quale Marco Pannella tira dentro anche il ministro della Funzione pubblica. «Non vorrei che il compagno Brunetta proprio sui diritti degli immigrati facesse il fannullone - ha detto il leader radicale -. Chiediamo un incontro per comprendere come superare questa inaccettabile situazione».
Solidarietà agli immigrati in sciopero della fame è stata espressa da Livia Turco: «La loro è una battaglia di civiltà - ha detto al capogruppo del Pd in commissione Affari sociali della Camera - ed è inammissibile che alle soglie del 2010 in Italia si debba arrivare a non mangiare e bere per chiedere il rispetto di un diritto previsto dalla legge».






Privo di biglietto perché impossibilitato a farlo mostra i soldial controllore. Ma viene costretto a scendere dalla polizia ferroviaria
Quel ragazzo senza braccia sul treno dell'indifferenza
di SHULIM VOGELMANN


CARO direttore, è domenica 27 dicembre. Eurostar Bari-Roma. Intorno a me famiglie soddisfatte e stanche dopo i festeggiamenti natalizi, studenti di ritorno alle proprie università, lavoratori un po' tristi di dover abbandonare le proprie città per riprendere il lavoro al nord. Insieme a loro un ragazzo senza braccia.

Sì, senza braccia, con due moncherini fatti di tre dita che spuntano dalle spalle. È salito sul treno con le sue forze. Posa la borsa a tracolla per terra con enorme sforzo del collo e la spinge con i piedi sotto al sedile. Crolla sulla poltrona. Dietro agli spessi occhiali da miope tutta la sua sofferenza fisica e psichica per un gesto così semplice per gli altri: salire sul treno. Profondi respiri per calmare i battiti del cuore. Avrà massimo trent'anni.

Si parte. Poco prima della stazione di (...) passa il controllore. Una ragazza di venticinque anni truccata con molta cura e una divisa inappuntabile. Raggiunto il ragazzo senza braccia gli chiede il biglietto. Questi, articolando le parole con grande difficoltà, riesce a mormorare una frase sconnessa: "No biglietto, no fatto in tempo, handicap, handicap". Con la bocca (il collo si piega innaturalmente, le vene si gonfiano, il volto gli diventa paonazzo) tira fuori dal taschino un mazzetto di soldi. Sono la cifra esatta per fare il biglietto. Il controllore li conta e con tono burocratico dice al ragazzo che non bastano perché fare il biglietto in treno costa, in questo caso, cinquanta euro di più. Il ragazzo farfugliando le dice di non avere altri soldi, di non poter pagare nessun sovrapprezzo, e con la voce incrinata dal pianto per l'umiliazione ripete "Handicap, handicap".

I passeggeri del vagone, me compreso, seguono la scena trattenendo il respiro, molti con lo sguardo piantato a terra, senza nemmeno il coraggio di guardare. A questo punto, la ragazza diventa più dura e si rivolge al ragazzo con un tono sprezzante, come se si trattasse di un criminale; negli occhi ha uno sguardo accusatorio che sbatte in faccia a quel povero disgraziato. Per difendersi il giovane cerca di scrivere qualcosa per comunicare ciò che non riesce a dire; con la bocca prende la penna dal taschino e cerca di scrivere sul tavolino qualcosa. La ragazza gli prende la penna e lo rimprovera severamente dicendogli che non si scrive sui tavolini del treno. Nel vagone è calato un silenzio gelato. Vorrei intervenire, eppure sono bloccato.

La ragazza decide di risolvere la questione in altro modo e in ossequio alla procedura appresa al corso per controllori provetti si dirige a passi decisi in cerca del capotreno. Con la sua uscita di scena i viaggiatori riprendono a respirare, e tutti speriamo che la storia finisca lì: una riprovevole parentesi, una vergogna senza coda, che il controllore lasci perdere e si dedichi a controllare i biglietti al resto del treno. Invece no.
Tornano in due. Questa volta però, prima che raggiungano il giovane disabile, dal mio posto blocco controllore e capotreno e sottovoce faccio presente che data la situazione particolare forse è il caso di affrontare la cosa con un po' più di compassione.

Al che la ragazza, apparentemente punta nel vivo, con aria acida mi spiega che sta compiendo il suo dovere, che ci sono delle regole da far rispettare, che la responsabilità è sua e io non c'entro niente. Il capotreno interviene e mi chiede qual è il mio problema. Gli riepilogo la situazione. Ascoltata la mia "deposizione", il capotreno, anche lui sulla trentina, stabilisce che se il giovane non aveva fatto in tempo a fare il biglietto la colpa era sua e che comunque in stazione ci sono le macchinette self service. Sì, avete capito bene: a suo parere la soluzione giusta sarebbe stata la macchinetta self service. "Ma non ha braccia! Come faceva a usare la macchinetta self service?" chiedo al capotreno che con la sua logica burocratica mi risponde: "C'è l'assistenza". "Certo, sempre pieno di assistenti delle Ferrovie dello Stato accanto alle macchinette self service" ribatto io, e aggiungo che le regole sono valide solo quando fa comodo perché durante l'andata l'Eurostar con prenotazione obbligatoria era pieno zeppo di gente in piedi senza biglietto e il controllore non è nemmeno passato a controllare il biglietti. "E lo sa perché?" ho concluso. "Perché quelle persone le braccia ce l'avevano...".

Nel frattempo tutti i passeggeri che seguono l'evolversi della vicenda restano muti. Il capotreno procede oltre e raggiunto il ragazzo ripercorre tutta la procedura, con pari indifferenza, pari imperturbabilità. Con una differenza, probabilmente frutto del suo ruolo di capotreno: la sua decisione sarà esecutiva. Il ragazzo deve scendere dal treno, farsi un biglietto per il successivo treno diretto a Roma e salire su quello. Ma il giovane, saputa questa cosa, con lo sguardo disorientato, sudato per la paura, inizia a scuotere la testa e tutto il corpo nel tentativo disperato di spiegarsi; spiegazione espressa con la solita esplicita, evidente parola: handicap.

La risposta del capotreno è pronta: "Voi (voi chi?) pensate che siamo razzisti, ma noi qui non discriminiamo nessuno, noi facciamo soltanto il nostro lavoro, anzi, siamo il contrario del razzismo!". E detto questo, su consiglio della ragazza controllore, si procede alla fase B: la polizia ferroviaria. Siamo arrivati alla stazione di (...). Sul treno salgono due agenti. Due signori tranquilli di mezza età. Nessuna aggressività nell'espressione del viso o nell'incedere. Devono essere abituati a casi di passeggeri senza biglietto che non vogliono pagare. Si dirigono verso il giovane disabile e come lo vedono uno di loro alza le mani al cielo e ad alta voce esclama: "Ah, questi, con questi non ci puoi fare nulla altrimenti succede un casino! Questi hanno sempre ragione, questi non li puoi toccare". Dopodiché si consultano con il capotreno e la ragazza controllore e viene deciso che il ragazzo scenderà dal treno, un terzo controllore prenderà i soldi del disabile e gli farà il biglietto per il treno successivo, però senza posto assicurato: si dovrà sedere nel vagone ristorante.

Il giovane disabile, totalmente in balia degli eventi, ormai non tenta più di parlare, ma probabilmente capisce che gli sarà consentito proseguire il viaggio nel vagone ristorante e allora sollevato, con l'impeto di chi è scampato a un pericolo, di chi vede svanire la minaccia, si piega in avanti e bacia la mano del capotreno.

Epilogo della storia. Fatto scendere il disabile dal treno, prima che la polizia abbandoni il vagone, la ragazza controllore chiede ai poliziotti di annotarsi le mie generalità. Meravigliato, le chiedo per quale motivo. "Perché mi hai offesa". "Ti ho forse detto parolacce? Ti ho impedito di fare il tuo lavoro?" le domando sempre più incredulo. Risposta: "Mi hai detto che sono maleducata". Mi alzo e prendo la patente. Mentre un poliziotto si annota i miei dati su un foglio chiedo alla ragazza di dirmi il suo nome per sapere con chi ho avuto il piacere di interloquire. Lei, dopo un attimo di disorientamento, con tono soddisfatto, mi risponde che non è tenuta a dare i propri dati e mi dice che se voglio posso annotarmi il numero del treno.

Allora chiedo un riferimento ai poliziotti e anche loro si rifiutano e mi consigliano di segnarmi semplicemente: Polizia ferroviaria di (...). Avrei naturalmente voluto dire molte cose, ma la signora seduta accanto a me mi sussurra di non dire niente, e io decido di seguire il consiglio rimettendomi a sedere. Poliziotti e controllori abbandonano il vagone e il treno riparte. Le parole della mia vicina di posto sono state le uniche parole di solidarietà che ho sentito in tutta questa brutta storia. Per il resto, sono rimasti tutti fermi, in silenzio, a osservare.
L'autore è scrittore ed editore

© Riproduzione riservata (30 dicembre 2009)

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